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La presidenza di Vladimir Putin, e forse la stessa sopravvivenza della Federazione russa, non sarebbe concepibile senza il laboratorio segreto dei delitti e delle torture di cui parla Vaksberg, progettato fin dall'inizio su ordine di Lenin e perfezionato da Stalin. Senza le montature architettate dai servizi segreti; senza l'uso spregiudicato di esplosivi e gas contro palazzi, scuole, teatri, ferrovie, aerei; senza le pozioni letali, le esecuzioni, le minacce che hanno liquidato i capi della resistenza cecena, gli oppositori liberali, i magnati riottosi, i giornalisti senza paura. Come Aleksandr Litvinenko, avvelenato con il polonio perché colpevole di aver disertato dal KGB e di essere a conoscenza di troppi segreti. Come Anna Politkovskaija, assassinata per offrire un regalo insanguinato al potente di turno e per dare un secco segnale ai cittadini russi ancora attaccati all'idea di democrazia. Gli archivi di Stato, aperti per un breve lasso di tempo nel 1991, hanno permesso a Vaksberg di ricostruire una storia che parte da lontano. Una storia di persecuzioni implacabili, di inganni crudeli, di omicidi freddi e spericolati, di morti misteriose, di sostanze che non lasciano traccia. Fino ad arrivare a oggi.